Cosa succede a tutte le informazioni personali sensibili che raccolgono i nostri dispositivi connessi? Dove vanno a finire i dati raccolti dai nostri orologi, altoparlanti e televisori intelligenti, chi vi ha accesso e come vengono utilizzati?
La sempre più diffusa interconnessione digitale tra persone, oggetti e ambienti sta portando alla ribalta una serie di questioni che preoccupano sempre più ricercatori e giuristi, tra i quali il Dipartimento di Informatica e Tecnologia dell’Università di Cambridge (1), che sta lanciando una valutazione annuale (2) sui modi in cui vengono raccolte le nostre informazioni e sulla conformità di questi processi ai regolamenti e alla legge, e che ha utilizzato, per descrivere il tutto, una nuova metafora: “l’internet delle punture”.
Sostenuto da una sovvenzione dell’Information Commissioner’s Office, l’Autorità per la protezione dei dati del Regno Unito (ICO), il dipartimento indagherà su quello che il dottor Jat Singh – Senior Research Fellow, Computer Laboratory, University of Cambridge – descrive come “l’Internet delle punture” (Internet of Stings). Ciò perché il “progetto cerca di far luce sullo stato delle attuali pratiche commerciali dei dati analizzando la natura dei flussi dei dati sia da un punto di vista tecnico sia da un punto di vista legale. Il nostro obiettivo è quello di mostrare se ci sono implicazioni e preoccupazioni per la protezione dei dati nel panorama dei dispositivi “smart” dei consumatori, in modo da poter responsabilizzare le autorità, i regolatori e gli individui allo stesso modo”.
“Vediamo che gli smart devices vengono sempre più spesso indossati sul corpo delle persone e utilizzati nelle loro case”, ha detto Singh. “Tuttavia, spesso non è chiaro cosa succede con i dati che questi dispositivi raccolgono. Questo è preoccupante, dato che questi dispositivi possono spesso raccogliere informazioni altamente personali, private e sensibili su noi stessi e sulle nostre vite”.
Un’indagine basata sull’analisi del flusso dei dati che “escono” dai dispositivi IoT, oggetti “Smart “quali ad esempio campanelli, gadget e stampanti sempre più presenti nelle nostre case.
Ecco che siamo di fronte ad un esempio pratico del “dare norme alle nuove tecnologie”, uno dei temi fondanti di ReD OPEN.
Un primo passo per raggiungere un livello di “responsibility by design” affrontando le sfide imposte dalla trasformazione digitale in atto, in cui non si può prescindere dal giocare in anticipo verso la regolamentazione di tutti quegli strumenti che spesso rimangono privi di regole per anni dalla loro implementazione (basti vedere l’utilizzo del cloud, diffuso da anni e ancora privo di una regolamentazione organica e condivisa a livello europeo).
Non è chiaro cosa succeda ai dati raccolti da dispositivi IoT: dove vanno a finire e come vengono usati. E nell’ottica di un panorama europeo che si prepara ad accogliere il Data Governance Act e che sta sempre più orientandosi verso uno spazio sicuro di interscambio dei dati, arginare possibili falle – come IoT non controllati o regolamentati – è un passaggio tanto necessario quanto cruciale. Così come lo è progettare l’innovazione secondo logiche di responsabilità.
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